14 aprile 2017
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La sentenza riguarda un caso di somministrazione di lavoro a termine ma affronta in generale tutte le nuove ipotesi di decadenza introdotte dal c.d. Collegato lavoro nel 2010.
In particolare la questione affrontata dalla Corte di Cassazione attiene alla corretta interpretazione dell'art. 32 L. 183/2010, comma 4, e pone il problema di verificare l'esatto campo di applicazione dello ius superveniens rispetto a fattispecie negoziali già esaurite alla data di entrata in vigore della novella legislativa (24 novembre 2010)[1].
In sostanza si tratta di verificare se si applicano le decadenze anche a queste fattispecie, senza la necessità di una specifica previsione di deroga all'art. 11 preleggi, atteso che la nuova norma non ha modificato la disciplina del fatto generatore del diritto ma solo il suo contenuto di poteri e facoltà, suscettibili di nuova regolamentazione perché ontologicamente e funzionalmente distinti da esso e non ancora consumati, dovendosi pertanto escludere un’ipotesi di retroattività[2].
L’orientamento della Cassazione[3] era, invece, nel senso di sostenere che il regime della decadenza si applica alle fattispecie in corso alla data di entrata in vigore della legge stessa (24 novembre 2010), e non anche a quelli già scaduti a tale data, in assenza di una previsione analoga a quella dettata per i contratti a termine in senso stretto.
La Cassazione, con la sentenza in commento, prende una decisa posizione a favore della sussistenza della decadenza anche per i rapporti esauriti richiamando i seguenti principi: (i) non si può invocare la sentenza della Corte cost. n. 155 del 2014 giacché si limita ad effettuare lo scrutinio di legittimità costituzionale della norma in ordine ad una asserita irragionevole disparità di trattamento fra l'ipotesi del contratto a termine di e le altre fattispecie disciplinate dall’art. 32 cit., (ii) il comma 1-bis dell’art. 32 cit. ha assicurato un adeguato arco temporale di adattamento alla nuova e più rigorosa disciplina della decadenza proprio in quanto applicabile anche alle fattispecie cessate prima dell'entrata in vigore della legge, (iii) nel caso in esame non si è in presenza di una retroattività propriamente detta, ma solo dell'assoggettamento d'un diritto, già acquisito, ad un termine di decadenza per il suo esercizio; (iv) non sussiste retroattività quando la nuova norma disciplini situazioni e rapporti che, pur costituendo effetti di un pregresso fatto generatore siano da questo distinti ontologicamente e funzionalmente e quindi suscettibili di una nuova regolamentazione mediante l'esercizio di poteri e facoltà non consumati sotto la precedente disciplina, come è appunto il caso dell'introduzione d'un termine di decadenza, ove prima non ve ne erano, in cui il potere d'azione era già sorto ma non ancora consumato[4].
In sostanza la novella non incide sul fatto generatore ma sul diverso procedimento impugnatorio ancora in corso.
A conforto della tesi la sentenza richiama l’orientamento di legittimità[5] in tema di c.d. “milleproroghe” ovvero dell’art. 32, comma 1-bis cit. che, avendo ritenuto applicabile il differimento ivi previsto dell'operatività del regime decadenziale a tutte le ipotesi contemplate dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 3 e 4, ha implicitamente ritenuto che il secondo termine decadenziale ivi previsto si applichi a tutte le ipotesi precedentemente non assoggettate all'onere di impugnativa stragiudiziale con la conseguenza che ogni controversia doveva essere introdotta nei 270 giorni dalla definitiva entrata in vigore del regime decadenziale.
Sotto il profilo costituzionale e del diritto sovranazionale, la sentenza afferma che l'introduzione del nuovo termine di decadenza con efficacia "ex nunc" non determina violazione dell'art. 24 Cost., o dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali della UE o degli artt. 6 e 13 CEDU, perché vi sarebbe stato un arco temporale quantitativamente congruo per la conoscibilità della nuova disciplina come previsto dal citato comma 1-bis dell’art. 32 cit..
In sostanza[6], ad avviso della suprema corte, proprio la disciplina contenuta nel c.d. milleproroghe (D.L. n.225 del 2010) induce a ritenere applicabile il nuovo regime decadenziale alle fattispecie regolate dall’art. 32 cit. intervenute prima del 24.11.2010 giacché la rimessione in termini ivi prevista risponde alla "ratio legis" di risolvere, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all'introduzione "ex novo" del suddetto termine di decadenza.
In conclusione il principio di diritto che si trae dalla pronuncia in esame afferma che la decadenza di cui all'art. 32, commi 3 e 4, della legge n. 183 del 2010 e la conseguente proroga di cui al comma 1 bis del medesimo articolo, si applicano anche alle fattispecie cessate prima della data di entrata in vigore della legge stessa. Il contrasto di giurisprudenza nell’ambito della Suprema Corte dovrebbe suggerire un’auspicabile remissione della questione alle Sezioni Unite.
Roma, 14.4.2017
Avv. Filippo Aiello
[1] altre forme contrattuali o atti datoriali, come il recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, il trasferimento del lavoratore, la cessione del contratto di lavoro in caso di trasferimento d'azienda e la somministrazione di lavoro irregolare ecc.
[2] cfr. Cass. 2420/2016
[3] Sez. 6, ordinanza n. 21916/2015, successivamente ribadita dalla medesima Sezione con ord. n. 2462/2016 che richiamavano la sentenza della Corte costituzionale n. 155 del 2014
[4] Cfr. Cass. n. 13598/2016, Cass. n. 18312/2016 con riferimento al secondo termine di decadenza di (allora) 270 giorni
[5] sentenze nn. 9203/2014, 15434/2014; 24233/2014; 13563/2015; 14406/2015; 22824/2015; 17467/2016; 18312/2016; 18579/2016; 19920/2016 cfr. anche S.U. n. 4913 del 2016
[6] Cfr. Cass. S.U. n. 4913/2016 e Cass. n. 24258/21016