GMO: “manifesta” insussistenza del fatto – Ord. 19-02-2014 Tribunale di Roma dr. Mimmo

12 settembre 2014

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Tribunale di Roma, 13 Febbraio 2014 (ord.) Est. Giovanni Mimmo, P.D. (avv.ti Colasanti e Naccari) c/ G. S.r.l. (avv. Becchetti) Il Tribunale di Roma ha esaminato la domanda proposta dal Lavoratore volta ad ottenere tra l’altro, la dichiarazione di illegittimità del licenziamento subito attesa l’insussistenza della ragione posta a base del recesso intimato per giustificato motivo oggettivo. Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda del lavoratore ponendo a fondamento della propria pronuncia la distinzione fra “manifesta insussistenza del fatto” (con conseguente reintegrazione) e semplice insussistenza degli estremi del giustificato motivo oggettivo (con conseguente tutela risarcitoria) ed in particolare evidenziando che: - “poiché il tratto unificante delle fattispecie di illegittimità del licenziamento per le quali è stabilita la tutela reintegratoria debole è costituito dalla circostanza che il vizio del recesso datoriale consiste nella insussistenza dei fatti indicati dal datore a sostegno del proprio recesso, anche alla distinzione tra “manifesta insussistenza” che da luogo alla tutela reintegratoria e ipotesi in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo deve essere attribuita tale valenza. Il fatto addotto dal datore di lavoro come giustificato motivo oggettivo è “manifestamente insussistente” qualora esso non si sia verificato nella realtà (…). Se, invece, il fatto sussiste ma non assume dimensioni tali da integrare un giustificato motivo oggettivo si rientrerà nella tutela indennitaria”  . -  l’insussistenza dei fatti posti a fondamento del giustificato motivo oggettivo di licenziamento da luogo alla reintegra del lavoratore con conseguente condanna del datore di lavoro al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, delle retribuzioni globali di fatto maturate dal giorno del licenziamento a quello del provvedimento giudiziale che ha ordinato la predetta reintegrazione. - “seppure la norma abbia una formulazione particolarmente infelice, in quanto prevede che il risarcimento “dalla data del licenziamento a quello di effettiva reintegra” non possa superare le dodici mensilità, si deve ritenere che il periodo coperto da tale risarcimento non sia quello dal licenziamento all’effettiva reintegra (venendo altrimenti meno alcun interesse del datore di lavoro a reintegrare il lavoratore), ma solo quello fino alla sentenza, in quanto dalla sentenza che ordina la reintegrazione il lavoratore ha diritto a percepire le retribuzioni in via diretta e non a titolo di risarcimento del danno
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