19 aprile 2018
Generico ,
Corte Giustizia Europea - Grande Sezione- sentenza del 17.4.2018 causa C-414/16 - Vera Egenberger c/ Evangelisches Werk für Diakonie und Entwicklung eV,
«Differenza di trattamento basata sulla religione o sulle convinzioni personali – Attività professionali di Chiese o di altre organizzazioni la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali - Condizioni»
pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ex art. 267 TFUE, dal Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro, Germania), con decisione del 17 marzo 2016, pervenuta in cancelleria il 27 luglio 2016
Direttiva 2000/78/CE:
- considerando 4, 23, 24 e 29
- art.1, art. 2, paragrafi 1, 2 e 5, art. 4, paragrafi 1 e 2, art. 9, paragrafo 1, art. 10, paragrafo 1.
TFUE: art. 17.
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: artt. 10, 21 e 47.
La CGE (Grande Sezione) ha dichiarato che la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro non comporta la illegittimità in sé del rigetto di una candidatura a un posto di lavoro all’interno di una Chiesa o altra organizzazione (la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali) che dimostri (essendone onerata) che la religione sia requisito essenziale, legittimo, giustificato e proporzionato per lo svolgimento del tipo di mansione richiesta.
Tale allegazione deve poter essere verificata giudizialmente in una controversia tra privati e il giudice nazionale deve assicurare la tutela giuridica in forza degli articoli 21 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e garantirne la piena efficacia, interpretando il diritto nazionale in modo conforme all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78/CE, e, ove non possibile, disapplicare qualsiasi disposizione nazionale contraria.
_______________________________________________________________________________________
La questione trae origine dalla domanda di risarcimento (di EUR 9 788,65) proposta da una cittadina tedesca a motivo di una discriminazione fondata sulla religione di cui sostiene di essere stata vittima nell’ambito di una procedura di assunzione. L’Opera della Chiesa evangelica («Evangelisches Werk») aveva pubblicato un’offerta di lavoro che specificava tra i requisiti richiesti “l’appartenenza a una Chiesa evangelica oppure a una Chiesa rientrante nell’Associazione delle Chiese cristiane in Germania, nonché l’identificazione con la missione assistenziale-caritatevole della Diaconia”. La cittadina tedesca, non appartenente ad alcuna confessione religiosa, si era candidata per il posto in questione, ma, dopo una prima selezione, non era stata invitata a colloquio e il posto era stato assegnato ad altro candidato.
Il Tribunale del lavoro di Berlino (Arbeitsgericht Berlin) ha parzialmente accolto il ricorso dell’interessata, dichiarandola vittima di una discriminazione, limitando il risarcimento a EUR 1.957,73.
L’interessata ha quindi proposto prima appello al Tribunale superiore del lavoro del Land, Berlino-Brandeburgo (Landesarbeitsgericht Berlin-Brandenburg), poi ricorso in cassazione («Revision») al fine di ottenere il pagamento di un risarcimento adeguato.
La Corte federale del lavoro (Bundesarbeitsgericht) ha sospeso il procedimento sottoponendo alla CGE le seguenti questioni pregiudiziali:
- se l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che un datore di lavoro, come una Chiesa, abbia la facoltà di definire autonomamente in maniera vincolante se una determinata religione di un candidato rappresenti un requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa, tenuto conto dell’etica dell’organizzazione;
- se possa essere disapplicata una disposizione della normativa nazionale (come, nel caso di specie, l’articolo 9, paragrafo 1, prima ipotesi, dell’AGG) secondo cui una differenza di trattamento basata sulla religione per l’assunzione presso comunità religiose e le istituzioni loro affiliate sia lecita anche nel caso in cui una determinata religione rappresenti un requisito giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa nel rispetto dell’identità di detta comunità religiosa in relazione al suo diritto di autodeterminazione;
- quali caratteristiche siano requisiti essenziali, legittimi e giustificati per lo svolgimento dell’attività lavorativa tenuto conto dell’etica dell’organizzazione, conformemente alla dir. 2000/78.
La CGE risponde che:
- “ai fini dell’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto del tenore letterale della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte e, in particolare, della genesi di tale normativa (v., conforme e costante giurisprudenza della Corte, tra tutte: sentenza del 1° luglio 2015, Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland, C-461/13, EU:C:2015:433, punto 30)”.
- Nella fattispecie vengono in rilievo più diritti concorrenti: il diritto fondamentale dei lavoratori di non essere oggetto di discriminazione fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, tutelato dalla direttiva 2000/78, nonché il diritto all’autonomia delle Chiese e delle altre organizzazioni pubbliche o private la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, come sancito all’articolo 17 TFUE e all’articolo 10 della Carta, che corrisponde all’articolo 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950.
L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78 ha lo scopo di garantire un giusto equilibrio bilanciando tali diritti concorrenti.
La CGE ha stabilito che deve essere garantito un controllo giurisdizionale effettivo sulla decisione di rigettare una candidatura per un posto di lavoro all’interno di una Chiesa o un’altra organizzazione (la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali) basata sulla motivazione che la religione costituisce un requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa per la natura delle attività di cui trattasi o per il contesto in cui tali attività devono essere espletate.
Tale controllo giurisdizionale spetta ai singoli Stati membri e alle loro autorità giurisdizionali valutando se il requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa posto dalla Chiesa o dall’organizzazione sia, per la natura delle attività in oggetto o per il contesto in cui vengono espletate, essenziale, legittimo e giustificato.
Alla luce dell’art. 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78, una differenza di trattamento basata sulla religione o sulle convinzioni personali è legittima se “subordinata all’esistenza oggettivamente verificabile di un nesso diretto tra il requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa imposto dal datore di lavoro e l’attività in questione. Un tale nesso può derivare vuoi dalla natura di tale attività, ad esempio qualora essa comporti di partecipare alla determinazione dell’etica della Chiesa o dell’organizzazione in questione, o di collaborare alla sua missione di proclamazione, vuoi dalle condizioni in cui tale attività deve essere espletata, come la necessità di garantire una rappresentanza credibile della Chiesa o dell’organizzazione all’esterno della stessa”.
Secondo la Corte, il requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa previsto dall’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78 rinvia a un requisito necessario e oggettivamente dettato, tenuto conto dell’etica della Chiesa o dell’organizzazione, dalla natura o dalle condizioni di esercizio dell’attività professionale in questione (essenziale), non può includere considerazioni estranee a tale etica o al diritto all’autonomia di detta Chiesa o di detta organizzazione (legittimo). Deve essere conforme al principio di proporzionalità e sottoposto all’eventuale controllo giudiziale con onere della prova incombente su chi invoca la necessità del requisito per la sua etica o per il suo diritto all’autonomia (giustificato).
La CGE sottolinea che spetta ai giudici nazionali:
- decidere se e in quale misura una disposizione nazionale possa essere interpretata conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78, senza procedere ad un’interpretazione contra legem di tale disposizione nazionale (v., in tal senso, sentenza del 19 aprile 2016, DI, C-441/14, EU:C:2016:278, punti 31 e 32 nonché giurisprudenza ivi citata);
- eventualmente modificare una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una direttiva (sentenza del 19 aprile 2016, DI, C-441/14, EU:C:2016:278, punto 33 e giurisprudenza ivi citata);
- interpretare una disposizione nazionale conformemente al diritto dell’Unione, anche se precedentemente e costantemente interpretata in senso incompatibile con tale diritto (v., in tal senso, sentenza del 19 aprile 2016, DI, C-441/14, EU:C:2016:278, punto 34);
- verificare se la disposizione nazionale in questione si presti a un’interpretazione conforme alla direttiva 2000/78.
In tema discriminazioni, la CGE precisa che
- “la direttiva 2000/78 non sancisce essa stessa il principio della parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, il quale trova la sua fonte in diversi strumenti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, ma ha il solo obiettivo di stabilire, in queste stesse materie, un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate su diversi motivi, tra i quali la religione o le convinzioni personali, come risulta dal titolo e dall’articolo 1 della medesima (v., in tal senso, sentenza del 10 maggio 2011, Römer, C-147/08, EU:C:2011:286, punto 59 e giurisprudenza ivi citata)”;
- Il divieto di ogni discriminazione fondata sulla religione o le convinzioni personali ha carattere imperativo in quanto principio generale del diritto dell’Unione (articolo 21, paragrafo 1, della Carta v., per quanto riguarda il principio di non discriminazione fondata sull’età, sentenza del 15 gennaio 2014, Association de médiation sociale, C-176/12, EU:C:2014:2, punto 47)”, anche quando tali discriminazioni derivino da contratti conclusi tra privati (v., per analogia, sentenze dell’8 aprile 1976, Defrenne, 43/75, EU:C:1976:56, punto 39; del 6 giugno 2000, Angonese, C-281/98, EU:C:2000:296, punti da 33 a 36; del 3 ottobre 2000, Ferlini, C-411/98, EU:C:2000:530, punto 50, nonché dell’11 dicembre 2007, International Transport Workers’ Federation e Finnish Seamen’s Union, C-438/05, EU:C:2007:772, punti da 57 a 61).
a cura di Chiara Cantafora