6 dicembre 2024
Giurisprudenza di Merito ,Livorno ,lavoro ,Tribunale di Livorno ,organizzazione ,liberta ,licenziamento ,imprese ,lavoratori
Leggi in allegato la sentenza
Breve commento a cura dell’Ufficio Studi AGI
Libertà di organizzazione delle imprese e tutela del lavoratore ingiustamente licenziato, questi i valori di rango costituzionale alla base dell’ordinanza del tribunale di Livorno che rimette alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell’art.9 d.lgs.23/2015 che nella sua attuale formulazione non pare fornire un rimedio adeguato, omettendo di realizzare un equilibrato componimento dei beni in gioco.
Già la consulta con la sentenza di inammissibilità n.183/2022 aveva evidenziato che il legislatore è vincolato al rispetto del principio di eguaglianza, che vieta di omologare situazioni eterogenee e di trascurare la specificità del caso concreto, ed aveva pure segnalato come un ulteriore protrarsi dell’inerzia legislativa non sarebbe stata tollerabile e l’avrebbe indotta, ove nuovamente investita, a provvedere direttamente sulla questione.
Il dubbio di legittimità costituzionale si muove in due direzioni:
la disposizione censurata, che esclude la tutela reale e prevede un limite massimo alla responsabilità risarcitoria del datore di lavoro c.d. sotto soglia, finisce per individuare una forbice estremamente ridotta (da tre a sei mensilità) che non consente al giudice di operare una liquidazione rispettosa del principio di uguaglianza, di ragionevolezza e di adeguatezza.
Questa limitazione dipende, poi, da un elemento estraneo al rapporto di lavoro, il limite dimensionale costituito dal numero degli occupati, che nell’attuale contesto socioeconomico risulta anacronistico e non capace di rispecchiare di per sé la concreta forza economica del datore di lavoro.
Secondo il Tribunale di Livorno, “l’operare sinergico della speciale limitazione di responsabilità risarcitoria in uno con il criterio di identificazione della tipologia di imprese che ne beneficia” rende la disciplina costituzionalmente illegittima in quanto consente un’enorme limitazione di responsabilità del debitore pure nelle ipotesi in cui le condizioni economiche e patrimoniali dell’impresa consentirebbero un risarcimento personalizzato e adeguato al caso concreto e, quindi, di garantire una reale deterrenza, sconsigliando il datore di lavoro dal porre in essere un licenziamento anche notevolmente viziato dal punto di vista sostanziale.
Da qui la violazione dell’art.3, commi 1 e 2, dell’art.4, comma 1, dell’art. 35, comma 1, dell’art. 41, comma 2, dell’articolo 117, comma 1, Cost. in relazione all’art. 24 della carta sociale europea.
Il Tribunale valorizza la rilevanza del caso per la gravità dei vizi del licenziamento che imporrebbe una sanzione dissuasiva, deterrente ed adeguata di importo elevato, mentre l’esiguità dell’importo, tra minimo e massimo, dell’indennità, a prescindere dalla tipologia del vizio, che non consente al giudice di soddisfare i criteri di personalizzazione del risarcimento, di adeguatezza e di congruità dello stesso, nonché di garantire la necessaria portata deterrente che deve accompagnare la tutela indennitaria (così le precedenti sentenze della Corte costituzionale 194 del 2018, 150 del 2020, 22 e 128 del 2024).
Importante è il richiamo alla giustificazione del licenziamento come valore costituzionale in quanto il recesso investe uno dei fondamenti della dignità del lavoratore che è parte essenziale dell’assetto dell’ordinamento, rientrando a pieno titolo nell’ambito dell’ordine pubblico.
Il tribunale si sofferma poi sul criterio del numero degli occupati ritenendolo ormai parametro anacronistico, inidoneo a rappresentare di per sé la forza economica del datore di lavoro.
Il criterio distintivo tra micro, piccole e medie imprese non può più essere dato dal numero degli occupati ma dal parametro finanziario con particolare rilievo al fatturato e al totale del bilancio, come previsto dalla riforma del diritto fallimentare e dalla Raccomandazione della commissione europea il 6 maggio 2003.
Il mutato contesto socioeconomico, grazie all’impatto della tecnologia, consente alle imprese più solide e forti di avere un numero di dipendenti inferiori a 15 con la conseguenza che il criterio non rispecchia più la vera forza economica del datore di lavoro.
I dati resi disponibili dall’Istat nel 2020 consentono di verificare che le micro imprese, ossia quelle con meno di 9 addetti, sono oltre 4 milioni, rappresentano il 95,2% delle imprese attive e il principale protagonista del contesto attuale.