Il datore di lavoro non può procrastinare la contestazione disciplinare in modo da compromettere il diritto alla difesa del lavoratore o perpetuare l’incertezza. Lo rimarca la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24609/2024.
I giudici sottolineano come il principio di immediatezza della contestazione, “la cui ‘ratio’ riflette l’esigenza dell’osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro”, non consente la procrastinazione dal momento che l’immediatezza è un elemento costitutivo del diritto di recesso del datore stesso in caso di licenziamento per giusta causa.
Il criterio di immediatezza, aggiungono i giudici, va inteso in senso relativo, dal momento che va tenuto conto della “specifica natura dell’illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini”, che risulta “tanto maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale”.