23 novembre 2014
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Tribunale Ordinario di Roma – Sezione Lavoro, sentenza del 9.14/10/2014, Cons. Est. Dott. Armone, n. r.g. 13161/2014, D.P.L. c/ C. spa.*.*.*
Il Tribunale di Roma, in accoglimento del ricorso in opposizione proposto ex art. 1, comma 51 legge 92/2012 da un dirigente, avverso l’ordinanza con la quale lo stesso Tribunale aveva rigettato l’impugnativa da lui proposta avverso il recesso intimatogli in ragione del raggiungimento del 65° anno di età e con effetto da tale data ancora non maturata al momento dell’intimazione, ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato, ha ordinato la reintegrazione del lavoratore nel posto precedentemente occupato e ha condannato la società resistente al pagamento in suo favore di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dalla data del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegrazione, ai sensi dell’art. 18, comma 1, stat. lav., con la motivazione che, consistendo la ragione del licenziamento esclusivamente nel raggiungimento di una determinata età anagrafica, avendo la lettera di licenziamento richiamato soltanto la clausola del contratto collettivo che autorizzava il datore di lavoro a recedere per ragioni di età, il recesso costituirebbe un atto di discriminazione diretta, risolvendosi in un trattamento deteriore rispetto a quello ricevuto da un altro lavoratore dell’azienda nella stessa posizione, ma con un’età inferiore a quella del ricorrente. Deporrebbe in tal senso, in primo luogo, la lettera della legge, la quale, oltre a sancire, all’art. 15 Stat. lav., la nullità di qualunque patto o atto diretto, tra l’altro, a licenziare un lavoratore per ragioni legate alla sua età, e, all’art. 3 della l. 108/1990, la nullità del licenziamento discriminatorio indipendentemente dalla motivazione addotta a sostegno dello stesso, all’art. 2 del d.lgs. 216/2003 (applicabile anche alle condizioni del licenziamento) prevede che si è in presenza di una discriminazione diretta ogniqualvolta “per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale”, una persona venga trattata meno favorevolmente di un’altra in una situazione analoga. Il Tribunale ha inoltre affermato che la disposizione di cui all’art. 22 CCNL Dirigenti industriali, la quale consente la risoluzione del rapporto di lavoro del dirigente qualora questi sia in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia oppure abbia superato i 65 anni di età, non sarebbe idonea a derogare al divieto di discriminazione per età e a consentire trattamenti differenziati. Infatti, oltre alla circostanza che, «vertendosi in materia di diritti indisponibili», eventuali deroghe potrebbero essere disposte esclusivamente «in forza di disposizioni di legge, di rango pari rispetto alla norma che li vieta», la disposizione in parola, lungi dall’autorizzare un recesso anticipato del dirigente con efficacia differita al momento del raggiungimento dell’età pensionabile, esplicitamente richiede che sin dal momento dell’intimazione del licenziamento il dirigente possegga, alternativamente, uno dei due requisiti previsti. Inoltre - continua il Tribunale – anche a voler ritenere che la suddetta disposizione pattizia autorizzi anche il recesso anticipato e che ciò sia legittimo, ciò richiederebbe comunque che, al momento in cui il licenziamento produce i suoi effetti, il dirigente abbia conseguito, per lo meno, i requisiti per la pensione di vecchiaia. Infatti, diversamente opinando, il citato art. 22, autorizzando trattamenti differenziati in ragione dell’età senza alcuna garanzia ai fini dell’accesso alla pensione di vecchiaia, dovrebbe senz’altro ritenersi nullo ai sensi dell’art. 15 stat. lav. A sostegno di tale lettura deporrebbe, altresì, la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, la quale ha ripetutamente avuto modo di affermare che le disposizioni di legge, che autorizzano il libero recesso dal rapporto di lavoro con il lavoratore ultrasessantacinquenne, non contrastano con l’ordinamento comunitario solamente ove non abbiano l’effetto di «svuotare della sua sostanza l’attuazione del principio di non discriminazione», e qualora «siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate da una finalità legittima». Pertanto, il suddetto art. 22 dovrebbe essere interpretato nel senso che il datore di lavoro è autorizzato a recedere dal rapporto di lavoro per ragioni legate all’età «solo a condizione che ciò non sia di ostacolo al transito del lavoratore licenziato verso un trattamento previdenziale, senza soluzione di continuità»; pena, la nullità della disposizione per contrasto con una norma imperativa. Non varrebbe ad escludere la natura discriminatoria del recesso in esame nemmeno il richiamo, valorizzato dal Giudice della fase sommaria, alla giurisprudenza sui licenziamenti collettivi fondati sull’anzianità dei lavoratori. Infatti - rileva il Tribunale - la fattispecie dei licenziamenti collettivi è radicalmente diversa da quella dei licenziamenti individuali, atteso che, laddove i primi vengono attuati sulla base di un procedura concordata, nella quale il criterio di scelta dei lavoratori da licenziare, oltre a dover essere razionale, è necessariamente applicato in maniera omogenea a tutti i prestatori di lavoro che versano nella condizione sottesa da tale criterio, i secondi presuppongono, per loro stessa natura, un trattamento differenziato rispetto agli altri lavoratori presenti nell’unità produttiva, a meno che il datore di lavoro non dimostri di aver licenziato tutti i lavoratori di una determinata età, senza aver seguito la apposita procedura. Peraltro, l’orientamento che ha ritenuto razionalmente giustificata, nel licenziamento collettivo, una scelta ricondotta a criteri facenti riferimento a ragioni anagrafiche , lo ha fatto nelle sole ipotesi in cui tali criteri erano quelli della maturazione dei requisiti per la pensione di anzianità, e non anche un criterio fondato, puramente e semplicemente, sull’età anagrafica dei lavoratori. A cura di Elena Giorgi Trib. Roma Sez. Lav. 14.10.2014 Est. dr. Armone (DIGITARE QUI PER SCARICARE IL PROVVEDIMENTO)