Il licenziamento del dipendente che rivolge un appellativo omofobo, con intento irrisorio, ad un collega è sorretto da giusta causa, dal momento che la condotta non è una semplice forma di maleducazione, ma rappresenta una discriminazione basata sull’orientamento sessuale. Lo prevede l’ordinanza 7029/2023 della Corte di Cassazione.
Il rispetto che merita qualsiasi scelta di orientamento sessuale, sottolineano i giudici, è "innegabile portato della evoluzione della società" negli ultimi decenni: scelta che attiene a una sfera intima e riservata della persona, che va tutela contro qualsiasi intrusione indebita con strumenti di reazione adeguati.
Non è quindi una semplice questione di buona educazione, ma di rispetto dei principi previsti dalla Costituzione come la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo senza distinzione di sesso, la tutela dello sviluppo della persona umana, il lavoro come forma di esplicazione della personalità individuale, da salvaguardare "in tutte le sue forme e applicazioni" (articolo 35).